Quando si decide di cambiare qualcosa in azienda, spesso si definisce un gruppo di lavoro gestito da un consulente interno. Egli è, a prima vista, proprio come un consulente esterno: un professionista che viene assunto per risolvere un problema organizzativo e implementare le soluzioni al fine di migliorare le prestazioni di un’organizzazione. Entrambi i tipi di consulenti possono lavorare in tutte le possibili aree gestionali e organizzative. Analogamente ai consulenti esterni, i loro colleghi interni a volte concorrenti possono anche funzionare come consulenti, agenti di cambiamento, facilitatori di esecuzione, allenatori o formatori. La differenza risiede nel rapporto con l’organizzazione del cliente; i consulenti interni sono sul libro paga o si limitano alla consulenza a tempo pieno all’interno di un’organizzazione.

I vantaggi dei consulenti interni

I consulenti interni sono di solito più economici dei consulenti esterni,
e hanno una migliore comprensione dell’organizzazione che consigliano: capiscono meglio la lingua e la cultura dell’organizzazione. Inoltre, i consulenti interni hanno rapporti esistenti con altri dipendenti all’interno dell’organizzazione e sono più spesso coinvolti nella realizzazione dei propri consigli e possono continuare a svolgere un ruolo importante anche dopo l’implementazione.

Gli svantaggi dei consulenti interni

Sembra tutto perfetto, e allora perché i processi non cambiano e non migliorano utilizzando solo consulenti interni? Due sono i fattori principali:

Il fattore tempo: le scadenze di lavoro spesso non vengono rispettate perché si dà per scontato che l’azienda continuerà a pagare un consulente interno anche se è in ritardo sulla tabella di marcia

L’oggettività: il consulente interno avrà una vista parziale sulla situazione poiché è involontariamente influenzato dalle conoscenze, dalle persone, dai progetti pregressi.

Nei prossimi due articoli vedremo insieme le caratteristiche della consulenza esterna e quali sono i fattori di scelta caso per caso.

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